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La giostra

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Mille volte meglio girare

in giostra al campo tre

che metterci un cuore

a girare il soffitto

con lo sguardo fisso

a trovar le mosche bianche

pensando che la vita

è avorio d'amante

in corpetto di raso

con un bimbo al grembo:

A Giovanni Aloi

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Or che la triste tua silente imago

a me ritorna dai lontani colli

ove alla giovinezza eran disvago

l’ore trascorse in irrequieti e folli

            giochi di bimbi, te, cui già il sorriso

            dolce mancò della creatura prima

            che ansiosa fisse in noi pallido il viso

mutilo e solo e senza alcuna stima

La mia casa di viale Tiziano

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La mia casa

è una piccola tana

sospesa tra alberi altissimi

e un sentiero d’argilla.

Ignora la luce del sole

la luce del giorno;

vi splende soltanto

lo sguardo d’un piccolo bimbo.

Lo sguardo del nonno

s’è spento nel buio, per sempre.

in-ver(n)o

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Batte la pioggia, rovina

sul muro percosso

nella propria parte

di mammella sgonfia

allo sfinimento

di tanta pelle sulle costole.

 

Mi volano sassi negli occhi,

il cielo sbianca fagotti di cuore

a colpi d'inverno:

 il tuo nome cresce

nella crepa del sepolcro,

Voci che urgono

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Riso doloroso di Gwynplaine

sulla faccia stanca

e l’anima immersa nell’abisso

del pensiero, senza sosta.

Vi è nell’ansia di uscire alla luce

il prodigio del vero

ma tenuto in un intrico di fili

senza bandolo, anellidi vacui

che con oscena bocca

Pizzo, mappamondo fiorito

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Pizzo, sorella di Venere,

nata dal mare,

la cenere dello Stromboli

non sporca le tue acque

chiare come acqua di fonte

non brucia i fiori dei tuoi mandorli amari

i filari delle viti.

Un profumo tepido di zagare e tigli

t’invade e t’invade il carrubo

Alle mie figliole

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Siete tornate: nella notte fonda

tenendoVi per mano

siete tornate per un’ora sola

ad abbracciar la Mamma

e a chiederLe perdono...

siete tornate nella veste bianca

siete tornate nella veste bruna.

A Ida

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Quando, compagna mia, sull’erma afflitta

tomba porrai di fiori un gentil dono

sosta daccanto all’urna, derelitta,

obliando il mondo ed ogni umano suono.

            Come tocca dal sol fremente allora

            la zolla parlerà le sue divine

            note armoniose cui porgevi ognora

l’intento orecchio  ed il fluente crine.

Ma sussurrar udrai tanto più cara

la voce nota a te nell’aspra via

Di quell'azzurro bacio

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Dal riascoltato accento
quell'azzurro bacio
a tergermi le labbra
il pane secco nel cartoccio:

- è un nome, solo un nome,
farfalla sul petto
e sulle membra smagrite. -

Lampade di sepolcro
gli occhi infossati a fior d'acqua
globi di vetro che riflettono
 
l'argentea fronda dei capelli
che acquieta il volgere del giorno:

Ester

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Ester ovvero (dal bulgaro) "Destino della Negazione"

*Men fredda e impassibile assiste Antiope  alla punizione di *Circe.“

… e tu mi hai gettato nel profondo, nell’abisso del mare e le acque mi circondarono; tutti i tuoi gorghi e tutti i tuoi flutti si sono chiusi sul mio capo.”

Profezia di Giona. Cap. 2 parag.  4

Ora voglio scendere un po’ tra gli uomini. Non perché nutra verso di essi alcuna simpatia o mi sia venuta a noia la mia baita qui tra i monti; gli uomini nulla fecero per rendersi da me amati o benvisti e la mia baita l’ho messa su io, un po’ con le mie mani, un po’ con l’aiuto di Paolo Charbormier, che è il mio migliore amico dopo Ciro.

Stagioni

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Primavera

Fremiti d’ali; aeree, guizzanti

tornano. Han le convalli una canzone

nuova, melodia divina con l’acque

fluenti ai piani; creature leggere

evanescenti, cui l’ombra d’un sogno

si rassomiglia, e dall’istesso incanto

ebbero l’ali per volar ne’ cieli.

L'altalena

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La fune tra i pioppi

                                                           alta trascorre

Ali di falena, cadono

                                                           le scosse foglie

senza fruscio, nella quieta sera.

                                                           Dondola il bimbo

e danzano nel ciel le prime stelle

                                                           muto contempla

immagini a corteo

A mia madre

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Io t’ho chiamato, mamma, cento volte

e cento il mio nel guardo tuo fissai

tu sei lontana, mamma, e non mi ascolte

le angosce del mio cuor non le saprai.

Fosti la sola che a le notti insonni

i singhiozzi affidavi e il pianto amaro

mentre lungi dal tetto a tristi donni

senza difesa esposto era il tuo caro.

Fenice

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Dell’aspro pensiero

che mena alla vita

perdesti le tracce

mia Patria smarrita.

Gettata nel fango

dai figli tuoi stessi

dal cenere sparso

risorgi per essi.