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L'asino

L'asino

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O lui o quell’asino maledetto. O quello scompariva dalla faccia della terra o egli se ne sarebbe andato senz’altro dall’orto, prima che il fegato gli scoppiasse per la bile, e il medico prima e il prete dopo scialassero allegramente con i suoi soldi, risparmiati a forza di sacrifici.

Compare Peppe non ne aveva colpa, non se la poteva prendere con il suo compare, ché erano stati allevati, si può dire, assieme e si volevano un bene dell’anima. Eppoi se rompeva l’amicizia e per disgrazia gli fosse accaduto di star male, aveva voglia ad aspettarle, la moglie e le figliole del compare

Peppe, premurose attorno al suo letto, come quella volta che finì nella tagliola che aveva preparato per la lepre e nella quale, smemorato, andò ad incappare egli stesso, rientrando brillo da una certa osteria che visitava immancabilmente ogni sabato sera, come ogni domenica mattina con lo stesso scrupolo andava a sentir messa!

Nora, la moglie del compare Peppe, allora gli disse che quella non era una tagliola per lepre ma per un cinghiale a giudicar dalla ferita, e che in fondo il Signore aveva voluto punirlo della sua crudeltà, ché se per caso vi fosse andata a finir dentro una povera lepre, la testa da una parte e il resto dall’altra sarebbero rimasti! Poi, per consolarlo, si era messo a curarlo con tanta buona volontà, che non solo la gamba ne aveva tratto un immediato beneficio, ma tutto il suo fisico, costretto a un riposo forzato.

Non se la sentiva perciò di prendersela con compare Peppe, e tantomeno con commare Nora.

L’asino però era loro. Fare un affronto all’asino, procurargli del male, sarebbe stato lo stesso che incominciare da un niente e finire chissà dove.

E allora il dilemma urlato pocanzi non reggeva. L’asino no; ma il mal di fegato, il curato, il becchino nemmeno. Se ne sarebbe andato. Si sarebbe recato il giorno dopo da Don Andrea, gli avrebbe detto:

Padrone, l’orto ve lo lascio; ho trovato altro da fare. Compare Peppe ha l’altra metà e la famiglia gli è cresciuta in questi ultimi anni, tutta grazia del Signore; fatelo lavorare a lui per intero. Egli ne ha tanto bisogno e sa fare meglio di me”.

Compare Peppe in fondo gliene sarebbe rimasto grato, la loro amicizia avrebbe ricevuto quasi il crisma del sacrificio. Un’altra soluzione c’era, ma Liborio la scartò subito: chiedere a Don Andrea che al confine fittizio tra il suo e l’orto di Peppe Zattèra facesse tirare il filo spinato o correre una siepe o innalzare un muricciolo a secco. Sarebbe stato lo stesso che dire a compare Peppe che per vicino non lo voleva, che quella dell’asino era una scusa bella e buona per guastare un’amicizia che forse riusciva pesante. Lui, che compare Peppe e commare Nora se li sarebbe tenuti nel seno e nutriti con il suo sangue!

Andava tra i solchi triste e lento. Di botte il suo compare ne aveva date a quell’asino del malanno; ma picchiare un asino è come picchiare a un muro, e compare Peppe si era trovato più di una volta con un troncone in mano a forza di batterlo. Il curioso era che tutti i danni possibili e immaginabili li procurasse al suo orto; su quello di compare Peppe pareva camminasse con gli zoccoli di seta. Come se un genio maligno lo prendesse per la cavezza, lo conducesse sugli zucchini, sui fagiolini, sull’insalata del suo orto e lì si divertisse a punzecchiarlo!

Un bel dire, però, lasciare l’orto e darla vinta ad un asino! Un modo ci doveva essere, qualcosa doveva escogitare per allontanarlo da lì e non farcelo più ritornare. Ma il suo cervello, per quanto sollecitato, non sapeva o non voleva essere men tardo di quello di un pigro somaro. Infine gli sovvenne che padre Eusebio, a quanto si diceva in paese, era un uomo in gamba, che a dar consigli ne sapeva più di un avvocato e a risolvere le situazioni più difficili era fatto apposta.

Decise. Prima che da Don Andrea si sarebbe recato da padre Eusebio, dei Camaldolesi.

*         *         *

Non che i frati siano abituati a mangiar troppo; ma indubbiamente il chilo di padre Eusebio doveva essere lungo e laborioso, se a tre ore di distanza dal pranzo se ne stava ancora semi-sdraiato presso il tavolo, sul quale troneggiavano due gran fiaschi, che fino a poco tempo prima avevano contenuto del miglior vino che si produce sa Palmi a Sambiase. Stringeva fra l’indice e il medio un grosso sigaro d’America, aspirandone a pieni polmoni il fumo dolce e profumato che si spandeva nell’aria leggero e quasi impalpabile, come un etereo velo di seta azzurrina.

Levò appena le ciglia quando gli dissero che Liborio, l’ortolano, voleva parlargli; borbottò tra i denti; infine al frate che stava lì ad attendere una risposta disse che riponesse quei fiaschi in dispensa e facesse passare l’importuno. A Liborio, abituato ai napoletani, quel fumo fece il solletico in gola, gli venne da starnutire sonoramente.

“Salute, salute, fratello”; fece padre Eusebio. E poi a mo’ di divagazione: “è una cosa santa la salute, che si apprezza solo quando corre qualche pericolo. A voi che vivete all’aria aperta, che vi pascete d’aria, la salute non manca; ed io ne godo per te figliolo! Accosta una sedia e parlami liberamente”.

Quello dell’asino non era un ostacolo insuperabile, a giudicare dalla faccia di padre Eusebio, quando Liborio ebbe finito di spiegargli il motivo della sua visita.

“Per così poco lasciare il tuo lavoro o creare un’inimicizia con il tuo buon compare e la sua ottima commare?” – Fece padre Eusebio - “ né un giorno né un’ora si deve sciupare nell’ira, nel dolore, nell’ansia. Considera tu la nostra vita e poi dimmi se noi ci scostiamo un passo da questi concetti sani e che ci danno la piena soddisfazione di vivere in questa beatitudine. Frate Poldo tempo fa mi disse, alquanto rattristato, che i polli di Betta la lavandaia entravano di soppiatto nel nostro orticello e guastavano le tenere pianticine del semenzaio, alle quali egli dedica una cura paterna. Ed io gli risposi - per così poco, fratello, la tua fronte si corruga? Tieni nel cavo della mano alcuni chicchi di granturco e va verso di essi invitandoli dolcemente; essi ti diverranno amici e verranno d’ora in poi a cercare sempre il cavo della tua mano e lasceranno in pace il semenzaio. Così tu saprai ciò di cui un asino possa esser maggiormente ghiotto e allora, senza adirarti né rincorrerlo, né rapportarlo a compare Peppe che per farti un favore gli rompe la schiena, va da lui con viso lieto …”.

- Un santo ci vorrebbe”! Lo interruppe, non potendosene trattenere, Liborio.

- Un uomo, un uomo - riprese quieto padre Eusebio - Ti assicuro che lo farai benissimo anche tu. Lo prenderai per la cavezza e lo porterai là dove avrai preparato quella tal ghiottoneria; farai altrettanto la seconda e la terza volta, se necessario. Come a frate Poldo, i polli di Betta han lasciato in pace, da quel giorno, il semenzaio, così l’asino del tuo compare non verrà mai più a calpestare le piante e i frutti del tuo orto.

- Che siate benedetto! - fece Liborio, curvandosi e baciandogli la morbida mano. - Un miracolo ci vuole; e se questo miracolo si compirà, vi prometto che a carnevale, quando ammazzerò il porco, mezzo bell’e insaccato sarà per il convento, padre Eusebio.

*         *         *

- Che razza d’idea , compare! Quasi quasi comincio a pensare che ci proviate gusto a mettervi a letto, perché io vi stia vicina e provveda a metter riparo ai guai che vi andate procurando. Diceva ammiccando maliziosamente commare Nora; - Prenderlo per la cavezza e tirarselo dietro, come se si fosse trattato di un caprettino da latte. Buon per voi che ha colpito basso;  un palmo più in su e scoppiato vi avrebbe!

E qui per dar maggior vigore alle sue parole, commare Nora premette con forza la coscia di Liborio che da cinque minuti stava massaggiando con olio canforato, nella speranza di minimizzare quel gonfiore bluastro che gliela deturpava simile per forma e grandezza allo zoccolo dell’asino di compare Peppe, che si era ribellato forse non ben comprendendole, alle forme di gentilezza di Liborio.

- Ahi! Ahi! Strillò il malcapitato. Commare Nora mia, io sento l’!inferno!

- Vi vale per scontare tutti i vostri peccati – fece premendo più leggermente.

Liborio mandò un profondo sospiro, più di pena che di sollievo, domandò perché mai a compare Peppe era venuta la brutta idea di sparare a quel povero asino, che in fondo, pace all’anima sua, tutte le colpe non ce l’aveva….

- Un altro paio ve ne avrebbe dovuto tirare di calci - protestò commare Nora -  eppoi avrei voluto vedere se vi foste espresso nella stessa maniera! Poco ci corre che mò non mi diciate che Peppe si è comportato male!

- Da ammazzare non l’aveva….

- Voi avrebbe ammazzato qualche giorno quella bestiaccia -esplose commare Nora

- Glielo dissi io a Peppe di sparargli quando vi ho visto lungo disteso a terra e non sapevo ancora se eravate vivo o morto… mi mancò il fiato… a morsi l’avrei ammazzato se Peppe non lo avesse fatto!

Liborio le prese la mano calda per il moto del braccio, gliela fermò, le disse: riposatevi; commare; siete stanca. Indugiò un po’, riprese:  un favore mi avete a fare, commare…

- Ve lo farò il favore, ma ora state calmo, compare; disse lei, con mezzo sorriso.

Liborio le lasciò la mano; riprese: 

- subito commare - disse -  prima che sia tardi. Non vorrei che compare Peppe o i figlioli andassero a dire in giro quel ch’è capitato….

- Che c’è di strano? - lo interruppe lei -  forse che non è ben fatto far fuori una così mala bestia o vi vergognate che si sappia che vi siete preso un calcio?

- No, no -  la zittì Liborio - non è questo, è una mia idea… ma io non mi posso muovere, questo è il guaio. Dovrebbe fare tutto compare Peppe… voi gli potreste dare una mano… si tratta di scuoiarla quella povera bestia, tagliarla a pezzetti insaccarla…

- Compare, ci arrestano – si allarmò Nora – vorreste fare dei salami con la carne dell’asino per caso?

- Salami e salsicce – corresse Liborio - ma non vi spaventate commare non è per venderli non è per ingannare la gente. Ve l’ho detto è una mia idea …vorrei tenerli così, per ricordo dell’asino morto … e per mantenere la promessa fatta ad un vivo!

Commare Nora scosse il capo. – E’ matto il compare – pensò - non può essere altrimenti, è matto. E dire che il calcio, per sua fortuna, l’ha ricevuto alle gambe e non alla testa!

*         *         *

Il chilo di padre Eusebio quel giorno era più lungo e penoso del solito. Erano trascorse quattro ore dal pranzo e sul tavolo così, per caso, si allungava un fila di fiaschi vuoti.

maledette salsicce – borbottava tra i denti di tanto in tanto – il diavolo vi deve aver cacciato dentro quel villano del malanno! Il diavolo, che si diverte ora a martoriare il mio povero stomaco!

 

 di Fedor Nicolay Smejerlink