Un grosso cervo un dì,
in un laghetto alpino
specchiandosi arrossì.
Credea sol con il vento
competere correndo
e pel suo nobil mento
magari con il Re;
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Un grosso cervo un dì,
in un laghetto alpino
specchiandosi arrossì.
Credea sol con il vento
competere correndo
e pel suo nobil mento
magari con il Re;
Fuori il vento faceva gemere gli alti abeti e la povera casa, sperduta nel cuore della Sila, pareva dovesse crollare da un istante all’altro, essere portata via da un soffio più impetuoso di quella gelida tramontana.
Ma pensandoci bene, Turi Arena sorrise. L’aveva costruita lui, non ricordava più quanti anni fossero, assieme a suo padre e avevano scelto alla bisogna i più bei pini del luogo; l’avevano poi completata, per quanto ce n’era di bisogno, con legno di abete, faggio e castagno.
Suo figlio Rocco, buon’anima, aveva fatto il resto, sostituendo ciò che il tempo e le intemperie avevano inevitabilmente corroso
Mareggia il grano biondo
presso a maturazione;
alla falce della crescente luna
il dorso offre che curva
dal peso oppresso che su lui già incombe.
Nella tua veste verde
eri un fanciullo libero nel sole
che dai colli correvi alle marine
ed al monte salivi
a passi certi e lenti.
Che il cielo si sia liquefatto
all’improvviso, lasciandovi
un plumbeo candore,
o è l’anima dentro che soffre
prigioniera, oppressa
dall’ombra torbida degli anni?
Le rose non sono di sogno
e la realtà è avara.
... in quella positura
ch’assume co le mani quando parla
inzaccate tra le brache e la cintura
Er caso
Tu guarda ar caso, l’antro giorno Nena
me disse ch’er marito era impegnato
come oratore
in un comizio assai qualificato.
Fedor Nicolay Smejerlink
Lo ZERO (e non solo) nella Matematica
Un’ipotesi matematica è presentata come una normale conversazione tra due ricercatori. Il dialogo che avviene in una breve ricreazione, rilassante e piacevole, serve da tonificante mentale alle stressanti e spesso ripetitive azioni che i due studiosi devono compiere, talvolta con risultati solo parziali, per portare avanti la loro complessa ricerca.
John … Sai cosa mi infastidisce nella matematica? …
Serghey ehm … cosa ti frulla, oggi, per la testa, a cosa alludi?
Questo riflusso di pensieri
è come l’acqua che lava il sasso
e lo lascia splendido,
pur se una patina lieve di limo
vi trova sedimento per ammorbidirne
la levigata durezza
in plastica armonia di ombre.
Canta il cigno laggiù nella palude
un melodioso canto,
brilla negli occhi già impietriti il sole.
Ma spera ancora; il tardo
muover de piedi in faticoso approdo
l’ansia del tempo ormai senza più tempo
e il corpo s’abbandona
in uno sforzo vacuo
che nulla ha più di vivo e di mortale.
Er Papa, sarvognuno, è ‘na potenza
‘na potenza che ar monno nun c’è guale
e seppure ha perduto er ‘temporale’,
Re c’è arimasto e l’antri so’ccellenza.
Lui te predica sempre l’obbedienza
la carità, er bene universale,
pe’ poi, co’ la scommunica papale,
ridutte cinicio appena che ce penza!
Presso qual fonte hai sostato
per inumidirti la gola
per toglier dal volto
il fango disseccato dal sole
per ascoltare parole amare
che il vento porta da lontano
dissimili e uguali
nel loro significato vano;
perché tanto penare
O lui o quell’asino maledetto. O quello scompariva dalla faccia della terra o egli se ne sarebbe andato senz’altro dall’orto, prima che il fegato gli scoppiasse per la bile, e il medico prima e il prete dopo scialassero allegramente con i suoi soldi, risparmiati a forza di sacrifici.
Compare Peppe non ne aveva colpa, non se la poteva prendere con il suo compare, ché erano stati allevati, si può dire, assieme e si volevano un bene dell’anima. Eppoi se rompeva l’amicizia e per disgrazia gli fosse accaduto di star male, aveva voglia ad aspettarle, la moglie e le figliole del compare
Con occhi maliardi mi guardi, terra
genitrice di vermi
come brama avessi di possedermi
senza nulla donare.
Eppure io sono un seme
un piccolo seme di te, caduto
inavvertitamente
in un solco fecondo
non bruciato dal vento
dal gelo, dai dardi avidi del sole.
Alla tua ombra mi raccolsi stanco
dopo la solitaria
corsa qua e là per la campagna aprica,
amica quercia, che profumi non hai,
non hai svettanti al cielo
rami fioriti e di color cangianti.
Povera cosa sei
sublime ostello alle mie stanche membra.
Con te mi è lecito parlare ormai
Acque azzurre verdesmeraldo tra un’asse e un’altra, sconnesse; dal tempo, da un urto, da un’esplosione prossima.
Brigida. Una casa che non cammina, con ruote róse e rosse su un binario morto; una casa in cui si è imbattuta, stanca; Claudia dormiva, pesava tre volte, biancorosa nel volto dolce.
Un tetto, una casa; difficile trovarne quando la guerra devasta, senza nulla che valga indosso, straniera. Un corpo giovane, ma stanco. Il corpo non; Claudia avrà fame, soffrirà, innocente; ma il corpo non si vende. Era stato di Marco, era appartenuto a Marco.
Una vela
che sogna sul mare acque
chiare di smeraldo, confortata
da un tenue ondeggiar di risacca.
Più vele nel cielo, tese
su un pennone di viscide piume,
plananti o in feroce picchiata
e il gridio di avide gole
sepolte nell’onda per un attimo.
Poi un veleggiar bianco, infinito
sul lucente dorso delle acque,
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